venerdì 15 giugno 2007

Spiegato il déjà-vu


A chi non è mai successo di trovarsi in un luogo per la prima volta e avere la sensazione di esserci già stati o durante una discussione di avere l'impressione di aver già sentito le medesime parole nello stesso ordine in un altro momento?

Questo fenomeno è molto frequente e prende il nome di déjà-vu: tutti l'hanno provato almeno una volta nella vita e risulta tanto affascinate quanto inquietante, al punto che per Freud poteva essere classificato all'interno delle esperienze perturbanti, come il doppio, il sosia, gli automi, gli zombie e altre entità che vanno a turbare la nostra psiche.

Al di là della psicanalisi, un gruppo di ricercatori americani ha cercato di dare una spiegazione scientifica di tale situazione ed è riuscito ad identificare la parte di cervello coinvolta in questo intricato meccanismo.
L'ippocampo gioca un ruolo di primaria importanza nell'esperienza del déjà-vu; infatti esso immagazzina ed elabora le informazioni in memoria, consente una categorizzazione dei luoghi e degli eventi e li archivia per usi futuri, ma quando due referenti o due circostanze iniziano a somigliarsi troppo, queste mappe mentali si sovrappongono e in qualche modo si confondono.

Si può parlare quindi di un malfunzionamento cerebrale nel processamento di nuove informazioni e nello specifico di un problema connesso alla memoria episodica.

Susumu Tonegawa, professore di biologia e neuroscienze al Massachusetts Institute of Technology di Boston e premio Nobel per la medicina nel 1987, ha reso pubblici i risultati della ricerca sul déjà-vu condotta dalla sua equipe su una colonia di topi il cui cervello era stato geneticamente modificato.

Una parte del loro ippocampo è stata privata di un gene cruciale per la gestione delle informazioni in memoria e si è evidenziato come i topi privi di questa porzione cerebrale presentassero dei deficit a livello di recupero delle informazioni, poichè non riuscivano a distinguere tra due gabbie in cui erano stati precedentemente rinchiusi, in quale delle due avessero ricevuto una scarica elettrica e di conseguenza si irrigidivano indifferentemente davanti all'ingresso di entrambe le gabbie.

"I topi di controllo", ossia quelli che non erano stati sottoposti a nessuna modifica cerebrale, mostravano un irrigidimento solo davanti alla gabbia in cui avevano ricevuto la scarica, manifestando invece tranquillità davanti a quella in cui non avevano subito alcun tipo di danno.

Questi studi potrebbero costituire il punto di partenza per approfondire il trattamento e la cura di patologie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer, in quanto a partire dalla conoscenza a livello molecolare e cellulare dei processi di memoria, si ha la possibilità di creare farmaci in grado di potenziare queste connessioni.
Foto by Mikey G Ottawa

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