venerdì 11 maggio 2007

Il trauma non abbandona mai


Una ricerca svolta dagli psicologi del Weill Medical College della Cornell University dimostra come a distanza di tempo persone coinvolte in esperienze traumatiche rimangano più suscettibili ad eventi e gesti innocui rispetto a chi non è mai stato coinvolto in situazioni ad alta drammaticità.

Questa ricerca conferma una credenza già diffusa nel senso comune, tuttavia in questo caso si va oltre la psicologia ingenua per approdare a delle spiegazioni del fenomeno di tipo neurologico.

Un grave trauma può avere effetti a lungo termine sul cervello e sul comportamento dei soggetti, nonostante non presentino sindrome post traumatica da stress (PTSD) o altri sintomi clinici rilevabili nel momento successivo all'episodio sconvolgente.

I ricercatori hanno reclutato due gruppi di soggetti per il loro studio: il primo composto da persone che al momento dell'attacco terroristico dell'11 settembre 2001 si trovavano a non più di 3 km dalle Torri Gemelle, il secondo formato da coloro che all'epoca del fatto viveva a 400 km da Manhattan e che si erano trasferiti a New York solo successivamente.

Entrambi i gruppi sono stati sottoposti a risonanza magnetica mentre venivano mostrate loro fotografie di facce serene e spaventate, così da monitorare il livello di attività delle diverse aree cerebrali e in particolare dell'amigdala, il centro che presiede alla valutazione dell'intensità emotiva e concorre alla formazione della memoria emotiva.

Si è appurato così che il livello di attività dell'amigdala è decisamente superiore nel gruppo dei traumatizzati rispetto a quello di controllo e che il livello di suscettibilità agli stimoli visivi presentati - volti impauriti e sonvolti - è significativamente più alto in chi ha subito un trauma, anche se all'epoca della circostanza dolorosa non aveva manifestato alcun segno rilevabile di patologia clinica, come ansia o depressione cronica.
Foto by _KoAn_

giovedì 10 maggio 2007

Quando il gioco si fa virtuale, la psicologia comincia a giocare


Uno dei giochi indipendenti più famosi dello scorso anno, flOw, è stato convertito per permettere agli utenti di utilizzarlo anche sulla Playstation 3 e alla base di questa iniziativa c'è l'applicazione di uno studio psicologico sul fenomeno noto con lo stesso nome del gioco in questione.

La collaborazione che ha portato allo sviluppo di flOw coinvolge più attori: il dipartimento di psicologia della University of Chicago, quello della Claremont University, il dipartimento di Interactive Media della University of Southern California e la Sony.

Tutto è iniziato quando uno studente americano, Jenova Chen, ha deciso che l'argomento della propria tesi sarebbe stato la relazione tra i media interattivi e il fenomeno del flow.

In psicologia il flow è una condizione caratterizzata da un senso di piacevolezza e soddisfazione dovuto all'attività in cui si è impegnati, da una sensazione di essere all'altezza delle sfide che il compito pone, nonchè da una sorta di alterazione temporale (il soggetto risulta tanto concentrato e assorbito da quello che sta facendo da non percepire il tempo reale che passa).

La prima versione di flOw è stata programmata in Flash e avrebbe dovuto semplicemente essere una dimostrazione pratica dell'oggetto di discussione entro la sessione di laurea, invece, con enorme sorpresa, è diventato un fenomeno conosciuto a livello mondiale e Sony ha contattato il brillante studente per commissionargli la conversione del gioco per la playstation 3.

Il concetto di base è semplice. Il giocatore controlla una piccolo animale acquatico, che per sopravvivere deve nutrirsi di plancton e di altre creature marine. Ad ogni predazione, il protagonista muta leggermente la propria struttura corporea in base a ciò di cui si è nutrito e man mano che scende a profondità maggiori, trova creature più aggressive che cercano di ucciderlo per non essere mangiate.

L'applicazione del flow è trasparente: parallelamente all'aumento di livello del gioco aumentano anche la difficoltà delle prove cui il giocatore è sottoposto, ma essendo un processo graduale, ci si sente sempre più partecipi e coinvolti e cresce anche la fiducia nelle proprie capacità. Il compito di volta in volta diventa più impegnativo, ma il soggetto non percepisce uno stacco netto tra un livello e l'altro e questo gli permette di adeguarsi in maniera naturale alle richieste che il videogame avanza.

Mai come in questo caso la tesi è stata uno strumento di presentazione e di valorizzazione delle proprie capacità; infatti ora Jenova Chen lavora alla Maxis allo sviluppo del gioco Spore e gli si prospetta una brillante carriera nell'ambito lavorativo della human-machine interaction.

Foto by wili_hybrid

mercoledì 9 maggio 2007

I videogiochi non hanno più età


Secondo uno studio promosso dall'Esa, l'associazione americana che racchiude i produttori di software ludico, la percentuale di anziani coinvolti dai videogiochi è decisamente in crescendo.

Il New York Times parla di boom dell’età matura nell’interesse verso quest’area e riporta la ricerca degli esperti nel settore, dando una conferma autorevole di come stia cambiando un mercato un tempo alimentato quasi esclusivamente da teenager ansiosi di combattere su un ring virtuale o di sfrecciare all’impazzata su un’autostrada digitale.

Se nel 1999 il 9% degli over 50 americani si dedicava a questo tipo di attività, nel 2005 è salito fino al 25% e per il futuro si prevede un ulteriore incremento.

Come è stato dimostrato per l’utilizzo dei videogiochi a scuola (vedi post in merito), l’interazione con i videogame oltre che divertente e rilassante, può avere anche degli scopi di altro tipo: se in ambito didattico la funzione principale è stimolare la riflessione e il ragionamento, ora si scopre anche una valenza “terapeutica” di questi mezzi.

Emblematica è la testimonianza di Suor Marie Smith, 61 anni, maestra in pensione e musicista, che prima di dirigere un concerto fa qualche partita con i suoi giochi preferiti.

La religiosa soffre di deficit d'attenzione, derivante da un disturbo di iperattività e chiarisce che le sue difficoltà di concentrazione vengono attenuate dall’utilizzo dei videogame e le permettono in seguito di mantenere più facilmente l’attenzione sostenuta.

Pur avendo applicazioni diverse, queste tecnologie hanno dimostrato di attuare un potenziamento cognitivo e di poter essere applicate in maniera flessibile in base alle esigenze e ai bisogni specifici della fascia d’età di riferimento.

Foto by Deb Moynihan

martedì 8 maggio 2007

Cellulari a scuola: Italia ed Europa a confronto


L’utilizzo del cellulare a scuola è sempre stato un argomento controverso e intricato.

Se un tempo il timore più grande era dato dalla possibilità di scambiarsi delle informazioni durante i compiti in classe, oggi fanno più clamore gli episodi di violenza, di bullismo e di volgarità gratuita filmati con i telefonini e marcatamente enfatizzati dai mass-media.

Vediamo ora come è stata affrontata la questione in Italia e in Europa.


Oggi nel nostro Paese la normativa prevede:

  • il divieto assoluto dell'uso dei cellulari durante le attività didattiche.

  • l’introduzione da parte delle singole scuole di sanzioni ad hoc per chi viola il divieto, compresa, nei casi più gravi, la non ammissione allo scrutinio finale o all'esame di Stato.
In Germania l’unico Land che proibisce l’uso del cellulare è la Baviera, mentre le altre regioni non concordano su tale posizione.

In Inghilterra non ci sono linee guida a livello nazionale da seguire, ma ogni istituzione è libera di scegliere la politica didattica che ritiene più opportuna. La tendenza generale non mira tanto al divieto totale dell’uso del cellulare, quanto a chiarire le regole dell’utilizzo del mezzo in classe, in quali casi esso sia accettabile e in quali no.

In Francia ci si interroga sulla possibilità di introdurre una misura nazionale dato che per il momento ogni scuola gode di autonomia e può operare liberamente delle scelte in merito.
In Spagna le Comunità Autonome hanno una grande libertà di manovra nell’ambito educativo e anche in questo caso ogni istituto può beneficiare di un elevato grado di autonomia per quanto concerne la regolamentazione dell’uso del telefonino.

Infine la Svezia sta preparando una nuova legge sull’educazione che con molte probabilità contiene norme sull’uso dei cellulari, ma per il momento non esistono disposizioni a livello centrale sull’uso dei telefonini.

Foto by compujeramey

lunedì 7 maggio 2007

Il Grande Fratello del futuro sarà Virtual Me


Il nuovo progetto della Endemol, realizzato in collaborazione con la Electronic Arts, azienda leader nel settore dei videogiochi, si chiama Virtual Me e si pone l'ambizioso obiettivo di diventare il nuovo standard di intrattenimento che sostituirà i reality show come li abbiamo conosciuti fin ora.

Questa volta si tratta di una forma di entertainment interattiva, che mutua da Second Life la possibilità di creare un proprio alter ego digitale, il quale vive in un universo parallelo online. Virtual Me però va anche oltre, consentendo di creare non solo un avatar tecnologicamente più avanzato, ma anche di far muovere le nostre creazioni virtuali nel mondo dello showbiz. I nostri doppi potranno infatti fare da comparse nei programmi televisivi o addirittura diventare delle star, entrare nella casa del Grande Fratello e cercare di rendere la propria permanenza più lunga possibile.

Ritengo siano particolarmente innovativi due aspetti, ossia il "dna digitale" che ogni personaggio possiede e la possibilità da parte di due avatar di mettere su famiglia e di avere un figlio le cui caratterisiche non saranno casuali, ma determinate dal "corredo genetico" dei genitori virtuali.

L'opportunità che in questo caso l'utente coglie è rivoluzionaria rispetto ai servizi di realtà virtuale attualmente presenti e aumenta di molto sia la sua sensazione di presenza che di presenza sociale, in quanto è indubbiamente più coinvolgente e avvincente trovare una propria dimensione di coppia e poi di famiglia, piuttosto che limitarsi ad interagire superficialmente con altri avatar.

La scommessa che fa la Endemol è coraggiosa, ma allo stesso tempo inevitabile: i suoi principali format di reality hanno subito un brusco calo negli ultimi tempi. Citando solo i più noti, si passa dal Grande Fratello, che dopo la quinta edizione ha continuato a perdere ascolti, a Survivor e Reality Circus, che non hanno mai stupito per audience, fino ad arrivare al recente quanto deludente Un due tre... Stalla! e al mega flop di Colpo di genio.

Tutto ciò porta all'inevitabile conclusione che il settore televisivo del reality show è saturo e per catturare una fascia consistente di pubblico è necessario battere terreni inesplorati o comunque offrire qualcosa di nuovo e appetitoso.

Credo che Virtual Me possegga questi requisiti, in quanto rappresenta una nuova forma di intrattenimento che fonde il tridimensionale della tv (e non più il bidimensionale alla Second Life) con lo spirito di community tipico del web.

Foto by Darcas