martedì 17 aprile 2007

I comandamenti del bravo blogger


E' quanto propongono Jimmy Wales, fondatore di Wikipedia, e Tim O'Reilly, filosofo della nuova generazione di comunicazioni interattive. L'idea è quella di introdurre delle regole di convivenza civile tra gli oltre 70 milioni autori di pagine e diari sparsi in Rete.

Se andasse in porto, l’iniziativa si tradurrebbe per i blogger in una sorta di manifesto da sottoscrivere, con tanto di distintivo da esibire sulla home page e ogni firmatario dovrebbe poi comportarsi di conseguenza, ad esempio cercando di sedare le risse verbali, scrivendo magari privatamente al disturbatore per indurlo a più miti consigli, scongiurando risse virtuali e guerre digitali.

Ovviamente le polemiche si sono scatenate e hanno già sommerso i guru del web tacciandoli di voler introdurre un totalitarismo online, nonchè di sancire mediante queste regole il declino e l'estinzione dei blog stessi.

In realtà non vedo nulla che intacchi così pesantemente la libertà personale: innanzitutto una netiquette più o meno formalizzata è già in voga da anni e il progetto di tante chat e forum è sempre stato quello di passare da un "censore esterno", ad esempio la figura del moderatore, ad un "censore interno", ossia una sorta di coscienza online insita nel soggetto stesso che gli permetta di autoregolarsi e di definire cosa sia adeguato o meno ad un determinato contesto.

Fenomeni come l'insulto gratuito e il blocco della possibilità di comunicare attuato mediante l'invio reiterato dello stesso messaggio, sono pratiche tanto fastidiose quanto diffuse, tanto da avere una denominaizone specifica - rispettivamente flaming e bombing - e tutti gli internauti abituali le eviterebbero volentieri.

Quelle proposte da Wales e O'Reilly più che indicazioni rivoluzionarie sono semplici regole di buon senso: no a insulti, ad abusi verbali, attacchi ingiustificati verso altri utenti e niente commenti anonimi. Nulla di trascendentale, solo l'esplicitazione di una comunità di pratiche già esistente nella blogosfera.

L'utente medio si sente minacciato, in quanto percepisce internet come un mondo a sè e ingenuamente crede che delle norme predeterminate possano ledere il suo diritto d'espressione, tuttavia nessuna esperienza di vita in cui ci si debba relazionare con gli altri, tra cui anche il famosissimo second life, è priva di una matrice culturale da rispettare, proprio perchè senza gettare le basi di una convivenza civile non è possibile sopravvivere nemmeno in ambienti in cui la realtà di riferimento è virtuale.

Quindi perchè non aderire ad un codice comportamentale che non impone diktat inaccettabili e non limita la libertà dell'internauta, ma al massimo la valorizza e la espande?

Foto by msabramo

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